Nel rifugio di villa Revedin vite scampate ai bombardamenti

25/04/2020 La Repubblica.
Articolo di Paola Naldi.
Fu l’unico rifugio antiaereo a Bologna ad essere dotato di sala operatoria di emergenza e di infermeria, anche se l’illuminazione era scarsa e quasi mancava l’aria. E non metaforicamente,
se alle pareti si potevano leggere cartelli del tipo “Silenzio. Qui l’aria è preziosa”, a fianco d’altre scritte che volevano essere di conforto, come “State calmi, siete già al riparo”, o di sollecito “Avanzate rapidamente, non pensate solo a voi stessi, altre persone sono ancora al pericolo sulla strada”. Queste memorie sepolte sono ora riaffiorate dal rifugio antiaereo di villa Putti, aperto nel 1944 sulla collina fuori Porta San Mamolo, nella sede del seminario arcivescovile che all’epoca ospitava un reparto distaccato dell’ospedale militare. Finito il conflitto, quelle gallerie salvifiche
furono trasformate in un deposito edile, come se si volessero seppellire sotto cumuli di materiale inerte le paure di una guerra. Almeno fino a cinque anni fa, quando l’associazione “Bologna sotterranea”, grazie a una convenzione stipulata col seminario, avviò un’operazione di recupero di quelle strutture e, insieme, di quel pezzo di storia trascurata. «Ci eravamo prefissati di inaugurare il rifugio, aprendolo al pubblico, il 25 aprile, per festeggiare il 75esimo anniversario della Liberazione – spiega Massimo Brunelli, vicepresidente dell’Associazione -. C’eravamo riusciti, ma l’emergenza Covid ha rimandato tutto». Bisognerà aspettare quindi un’altra liberazione per ritornare nel rifugio, ma intanto se ne può conoscere la storia, grazie al saggio, già in libreria, “Sul colle di villa Revedin; il Seminario Arcivescovile, la villa, il rifugio antiaereo”, edito da Ante Quem, con testi dello stesso, Lilia Collina, Danilo Demaria, Roberto Macciantelli. «In quella galleria convivono diverse epoche e diverse destinazioni – prosegue Brunelli -. Nel ’700 era una semplice cava, nell’800 fu trasformata in grotta votiva dai conti Revedin che, abitando la villa d’estate,
avevano creato un luogo di preghiera e frescura. Inizialmente era presente una statua della Madonna di Lourdes, ma il culto è proseguito fino agli anni Cinquanta con altre icone». Lo testimoniano
diversi reperti recuperati durante i lavori di restauro, da un ex voto in peltro e argento a numerose medagliette votive. «Ci sono anche diversi graffiti alle pareti relativi a grazie ricevute – aggiunge il ricercatore -. Durante i bombardamenti, per volere del cardinale Nasalli Rocca fu posta un’immagine della Madonna di San Luca: rivolgendo a lei le preghiere durante i bombardamenti si potevano avere fino a 300 giorni di indulgenza. Queste gallerie erano considerate sicure, ma c’era comunque il timore di non uscirne vivi». La rete di cunicoli della grotta fu ampliata nel 1944, quando diventò un vero e proprio rifugio antiaereo per degenti, infermieri e medici della struttura sanitaria, ma non solo. «Abbiamo trovato gavette e altri oggetti di quel periodo, però non sono
rimasti gli arredi originali – chiosa Brunelli -. Stiamo cercando di recuperare mobili dell’epoca, che possono dare l’idea di come si dovesse operare nel rifugio che serviva ad un ospedale con cinque reparti e almeno 500 posti letto. Per ora a rievocarlo ci sono sei lettighe che abbiamo allestito a scopo didattico». Reperti da rivedere, cunicoli da ripercorre per toccare con mano la storia. Appena saremo di nuovo liberi di uscire.