Le bellezze artistiche che il territorio della provincia di Bologna custodisce sono davvero tantissime, molte sconosciute, molte di cui la loro esistenza è nota ma che per svariati motivi non si possono ancora ammirare.
Bentivoglio, prolifica e attiva cittadina, distesa lungo le rive del canale Navile, ne possiede molte di queste particolarità che sono sotto gli occhi di tutti, ma che, forse, a volte, non ci si dà troppo peso o si danno per scontate essendo “sempre state lì”: i palazzi comunali, uno dei quali esempio concreto di stile essenzialista, il Palazzo Rosso, riconoscimento popolare alla residenza Pizzardi (sede della locale biblioteca) che prende il nome dal colore vivo del mattone adoperato, l’enorme e attiguo mulino, chiuso a metà degli anni Settanta che ultimamente ha ripreso vita dopo un sonno durato cinque decadi, dove si intrecciano percorsi guidati di terra, di acqua e di “etereo”, il centro storico, le oasi naturalistiche, le residenze di villa, il Museo della Civiltà Contadina nella vicina frazione di San Marino, il prezioso comparto ospedaliero e per ultimo, ma non ultimo, il castello, rimaneggiata “Domus Iocunditatis” della antichissima famiglia Bentivoglio.
Il maniero, dimostrazione solare di unione tra residenza e campagna, oltre ai laboratori di ricerca dell’Istituto Ramazzini, nasconde nei propri meandri una serie di meraviglie architettoniche di cui si sa molto poco; oggetto del nostro interesse sono i giganteschi spazi del sottotetto. Capriate e successione di archi a tutto sesto, legno e mattoni, fanno da sfondo ai muri scrostati che ci riportano ad un tempo lontano, di fasti e di giocosità. Gli affreschi che riposano lassù, in alto, solitari, al buio, tra i fruscii sommessi di vaghi volatili sono di una bellezza strepitosa ma quanto mai enigmatici. Il loro numero non è dato saperlo con certezza: si fatica a contarli tutti quanti. Essi spuntano, oltre che dallo strato finale di intonaco, anche dai diversi sottostanti. Tendaggi, volti, medaglioni, sedute, donne, uomini, pennellate di rosso e di blu, di verde e di vermiglio, di arancio e di nero affiorano raccontando un passato che non esiste più. Facciamo sì che anche chi verrà dopo di noi potrà godere della loro bellezza.
Di pertinenza anche ciò che rimane della Rocca, nucleo principale fortificato eretto nel XIV secolo ma anch’esso fortemente rimaneggiato tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento; la seconda guerra mondiale fece il resto, in peggio, portando ulteriori cambiamenti. Truppe tedesche in ritirata minarono sia l’alta e aggraziata torre di guardia che l’ala est del prospiciente opificio molitorio. La via di fuga era quasi assicurata ma il patrimonio storico si perse per sempre.
In questi giorni, grazie all’aiuto, alla pazienza e al supporto sia del Sindaco che dell’ufficio tecnico comunale, si sono potuti vedere, in via del tutto eccezionale, i luoghi appena citati; con una lunga scala a pioli si è saliti a oltre quattro metri d’altezza e attraverso una stretta botola si è passati nel sottotetto. Molto più agevole, ma senza mai distogliere l’attenzione dai numerosi possibili trabocchetti, la visita alle parti interne della Rocca: affreschi (che si sta tentando di recuperare, assieme alla stessa struttura quadrangolare) gentili colonne, scale di collegamento tra i vari piani, graffiti lasciati da un arcano prigioniero sono stati i piacevoli compagni d’escursione. Nel parco, a pochi metri di distanza, si conservano invece una serie di macine adoperate nel primitivo mulino (quello bentivolesco) e la deliziosa lanterna, fissata inizialmente in cima alla torre stessa. Sul retro del castello, la piccola e rotonda conserva porta sulle spalle tutti i segni delle epoche trascorse. Interessante il vestibolo con alcuni graffiti lasciati sui muri.
Visitiamo Bentivoglio per ciò che può offrirci di bello e di gustoso, anche come cucina.